mercoledì 4 ottobre 2017

San Francesco nelle parole di Pio XII

Pio XII, con apposito breve apostolico, il 18 giugno 1939 si degnava di costituire san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena Patroni d’Italia al cospetto di Dio. Il 5 maggio dell’anno successivo per celebrarli solennemente lo stesso Sommo Pontefice si recava nella Basilica di santa Maria sopra Minerva, che è officiata dai Padri Domenicani e conserva le spoglie mortali della Vergine domenicana in cui la donna è fatta consigliera e partecipe dell’agire del Supremo Gerarca della Chiesa del Cristo. Dopo la messa Papa Pacelli, pronunciò un dotto ed eloquente panegirico dei due Santi.
  

«Francesco, cavaliere amante della povertà di Cristo, ambiziosa del cielo ch’è suo, padre delle sacre legioni degli amici del popolo, suscitatore della carità diffusiva di pace e di bene fra gli uomini e nelle famiglie. E veramente egli, in tempi non meno tristi, precorse Caterina, e, al pari di lei, fu all’Italia un’aurora di rinnovamento spirituale e pacifico. Ignudo atleta fra i famelici dell’oro, con un cuore più largo che la miseria umana, sprezzatore di ogni dispregio, era pure stato il fiore dei giovani, prodigo e amante del lusso, il sonatore e il cantore delle allegre comitive, il guerriero prigioniero di Perugia, prostrato da Dio nel cammino verso le Puglie, per risorgere vaso di elezione a portare il nome di Cristo in mezzo al popolo e alle genti. L’amore dei poveri e degl’infermi lo fece tra i poveri il più povero; perché nel povero contemplava l’immagine di Cristo; perché in questa gran valle della umanità sono più gli umili ed i poveri che i grandi ed i fortunati, a quel modo che sono più le valli e le pianure che i monti sulla faccia della terra. Mistiche nozze innanzi al duro suo genitore contrasse con la povertà, ascendendo con lei il sentiero della vita, lieto e operoso, fino al monte dalla nudità crocifissa sigillata nelle sue carni. Una tale nudità di beni terrestri lo collocò superiore agli onori e alle irrisioni, agli allettamenti e ai disagi, a tutto ciò che il mondo chiama beni e mali, largendogli quella ricchezza di spirito, che, nulla avendo, ha ogni cosa, perché nulla vuole, o, per meglio dire, nulla vuole, perché nel suo nulla trova ogni cosa, avendo deposto ogni desiderio di quaggiù per riporre ogni brama nel Padre celeste che nutre gli uccelli dell’aria e veste i gigli del campo. Il poverello di Assisi, coperto di un saio ricamato di gloriosi squarci, avuto da un pezzente in cambio delle sue ornate vesti, levava, qui in Roma, sulle soglie dell’antica basilica del Principe degli Apostoli, la bandiera della povertà, quanto più lacera, tanto più bella, e apriva un nuovo cammino ai campioni della santità e della virtù, ai moderatori delle passioni umane, ai conciliatori delle discordie cittadine, ai restauratori della convivenza familiare e sociale, ai rinnovatori della pubblica pace e tranquillità. Quanti mossero sulle sue orme i piedi! Quanti si adunarono sotto le stuoie delle sue capanne alla Porziuncola! Quante vergini con Chiara di Assisi furono sue discepole! Quanti Frati Minori e Terziari guardarono a lui! Roma vide più volte Francesco pellegrino per le sue vie; lo vide prono innanzi al Pontefice approvante la Regola di lui; lo vide stringersi al petto Domenico; e vide ambedue venerare come Madre la Santa Chiesa Romana, fratelli nel servirla, nel propagarla e nel difenderla, com’erano fratelli nella sequela del primo consiglio di Cristo. La povertà di Cristo non impiccolisce il cuore, non restringe né spegne l’ardimento dell’animo generoso, ma alleggerisce il fardello della via, mette le ali al piede, infiamma lo zelo per accendere in ogni terra quel fuoco, che il Redentore era venuto a portare quaggiù. Così l’amore di Cristo trae Francesco dalla sua Tebaide, lo fa araldo del Vangelo, apostolo e adunatore di apostoli, pacificatore e padre di mistici cavalieri della pace e del bene, annunziatore del regno dei cieli nell’Umbria, nell’Italia, nell’Europa, nel mondo. La sua parola risonò in Assisi, nella valle di Spoleto, per le regioni italiche; i suoi piedi lasciarono orme per le strade di Spagna, sul suolo di Egitto, della Siria e della Palestina, di là dall’Adriatico; ascoltarono la sua voce popoli di diverse lingue e costumi, il Sultano del Nilo, gli uccelli della foresta. Ardente il suo cuore palpitava per tutte le creature di Dio, e a lui erano fratelli e sorelle il sole, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la nostra madre terra. Messaggero del gran Re, se dai Capitoli generali dei suoi frati diletti diffuse missionari per l’Europa e nell’Africa, fortemente amò il paese, dove Dio gli aveva dato così dolce luogo nativo, e di qua e di là dall’Appennino peregrinò sovente, spargendo colla parola della fede e coll’esempio della virtù il profumo di quella santità cortese, lieta, amorosa di Dio e della natura, ardente della mansuetudine e della pace di Cristo, che coi suoi figli fece dell’Italia la terra di Francesco, a lui fervidamente devota, stringendo col cingolo francescano pontefici e re, ricchi e poveri, felici e sventurati, famiglie e popolani di ogni condizione e di ogni età».

(Pio XII, Discorso sui Patroni d’Italia, 5 maggio 1940)









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